Ci è capitato in almeno due delle nostre ultime iniziative nell’ambito della promozione pubblica del “discorso” teorico relativo al Veganismo Etico http://www.laboratorioantispecista.org/perche-vegan/ e a quello della Filosofia Antispecista http://www.peranimaliaveritas.org/filosofia-antispecista.html di imbatterci in una ( talvolta ) più o meno motivata opposizione da parte di coloro i quali sostengono che “anche le piante sentono dolore” in una corsa in salita atta a valorizzare una critica di merito sui fondamenti secondo i quali non dovremmo imporre il nostro dominio di specie sugli altri animali, facendoli nascere, sfruttandone i corpi e le funzioni alla stregua di meri oggetti, imprigionandoli, sperimentando su di loro, uccidendoli senza alcuna considerazione di natura morale.
Questo tipo di opposizione ai valori del Veganismo Etico spesso è addirittura maggiormente adottato di quanto non lo sia la favola secondo la quale “Hitler era un vegetariano” – come se tale affermazione potesse svalutare automaticamente l’approccio basato sulla compassione interspecifica che anima il nostro discorso di critica radicale all’Antropocentrismo http://www.grandidizionari.it/Dizionario_Italiano/parola/A/antropocentrismo.aspx?query=antropocentrismo e alla presunzione di potenza dell’Uomo su tutto il resto del mondo vivente ( a proposito di questo la dieta alimentare di Adolf Hitler comprendeva salsicce bavaresi, fegato, prosciutto e sembra che la breve luna di miele con la dieta vegetariana del dittatore Tedesco avesse trovato la sua ragione di essere esclusivamente sul desiderio di preservare una salute psico fisica che nulla aveva a che fare con la compassione e l’empatia con gli altri animali ).
Ma insomma, le Piante provano dolore?
Coloro i quali si astengono dal sostenere i processi di sfruttamento e di sterminio degli altri animali, non dovrebbero forse divenire Fruttariani
http://pianetagreen.liquida.it/guida-al-fruttarianesimo-161761.html
piuttosto che saziare i loro appetiti in modo selettivo anche nei confronti di organismi viventi che mettono radici nel terreno e che attraverso vari meccanismi e riflessi “esprimono” una risoluzione innegabilmente connotata dalla sopravvivenza nell’elemento che li accoglie?
Quando strappiamo dal suolo un cesto di insalata o una carota “uccidiamo qualcuno” ?
In un articolo nella sezione scientifica del New York Times http://www.nytimes.com/2009/12/22/science/22angi.html?_r=1 l’autore cerca di marcare e di costruire il suo caso sulla presunta futilità della scelta Vegan, in quanto, le persone che hanno compiuto tale scelta, sarebbero condannati a nutrirsi di piante e quest’ultime, come ogni altro essere vivente, avrebbero il “diritto ad esistere” così come gli viene assegnato dalla Natura la quale ne favorisce nascita e sviluppo.
In altre parole, se la nostra sorte in quanto esseri umani è quella di “uccidere comunque” tanto vale che non si faccia alcuna distinzione in rispetto a cosa o a chi uccidiamo.
Noi riteniamo che tali argomentazioni non costituiscano una valida opposizione alla Filosofia Vegan in quanto vengono sviscerate allo scopo di giustificare il mantenimento dello status quo in rispetto al modello industriale e consumistico che la civiltà umana si è vista imporre dalle lobby agro alimentari e dalle multinazionali del cibo che ci vorrebbero indurre ad ignorare la provenienza e la qualità di ciò che mangiamo, ma soprattutto l’impatto in termini di sofferenza inferta e di distruzione reale sulla qualità di vita di miliardi di individui senzienti e sull’ambiente che li ospita.
Per cominciare, consentiamoci di tracciare una sorta di linea demarcatrice sulla vicenda e sul dibattito corrente.
Noi riteniamo che il concetto secondo il quale anche le piante siano degli esseri viventi degni di esistere contenga degli elementi affascinanti e condivisibili.
Infatti, dal punto di osservazione della Fisica Quantistica, niente, nel nostro mondo tridimensionale, nessuna materia in esso può venire considerata morta o inanimata, almeno ad un certo livello.
Questa concezione del mondo annovera tra i materiali viventi l’acqua, le pietre e persino alcuni tipi di oggetti tecnologici ( certi monitor dei computer ad esempio ).
Tutto è Energia, ci dicono gli scienziati, tutto emette una vibrazione a diverse rate di velocità e, per ciò che concerne alcuni organismi che tendono a moltiplicarsi e a fortificarsi tipo le alghe, la frutta, le verdure e i batteri, possiamo pensare a una qualche “intelligenza” che ne guida l’evoluzione e la crescita all’interno dei loro rispettivi alvei naturali.
Concordiamo pertanto con la nozione che l’atto di “possedere un innato meccanismo di auto difesa” conferisce a tutte le cose in natura una rilevanza particolare nel grande disegno dell’Evoluzione e della trasformazione cui siamo soggetti dal momento in cui siamo posti in “essere” dagli eventi.
In un certo senso, se non fosse per tutte quelle piante, per tutta la varietà vegetale presente sul pianeta e sulla loro continua attività di scambio di particelle di ossigeno e di ossido di carbonio nè noi nè tutti gli altri animali potremmo avvantaggiarsi delle condizioni ambientali che ci garantiscono una esistenza.
Quindi, di certo i cavolini di Bruxelle e ogni altra forma di vita vegetale come i frutti, i semi e quanto altro trovano un posto nella catena della vita, spartendo persino tratti nel DNA contraddistinguenti la loro struttura a livello molecolare.
Non è una coincidenza che alcuni degli antiossidanti contenuti nei cibi vegetali i quali assicurano loro di sopravvivere agli assalti e all’azione di altre forme di vita diano pure a noi, che li assumiamo ingestendoli come nutrimento, una certa protezione contro gli attacchi delle malattie e dell’invecchiamento delle cellule.
L’automatica equiparazione tra la “capacità di sopravvivenza di un vegetale” e quella di un individuo senziente rimane comunque una salto incolmabile.
Senziente, appunto.
Questo termine connota una caratteristica comune a tutti gli altri animali che con la Filosofia Vegan intendiamo salvaguardare non sostenendo determinate pratiche di sfruttamento per produrre cibo, capi di vestiario ed altre merci delle quali noi umani sembriamo incapaci di sottrarre dalle nostre esistenze e dalla voracità che guida le nostre opzioni.
Le facoltà cognitive di una gallina, di un vitello o di uno scarafaggio, in quanto individui senzienti, sono tali da consentire loro in maniera univoca la capacità di provare dolore, di compiere scelte discriminatorie in rispetto all’ambiente in cui vivere e riprodursi, di esprimere preferenze attraverso il comportamento, di manifestare gradi di emozioni.
Per queste ragioni gli individui con una capacità senziente si trovano collocati in una scala evolutiva maggiormente quotata in termini di consapevolezza di se di quanto non riescano a farlo le verdure.
Per quanto ci riguarda la rigidità dei criteri di definizione sui diversi gradi di consapevolezza di se secondo i quali le piante NON provano dolore convergono sui seguenti punti:
1_Dalla prospettiva puramente scientifica un potenziale cibo basato sulla vita vegetale NON è un essere vivente, non possiede l’innata inclinazione a sottrarsi dagli attacchi di agenti distruttivi nella stessa misura in cui la possiedono gli esseri viventi senzienti, non possiede un sistema nervoso centrale e in conseguenza a questo non può processare la gamma delle emozioni relative al dolore.
2_Filosoficamente ci appare condivisibile la nozione che Madre Natura, nella sua innegabile destrezza in termini di esecuzione delle condizioni idonee a preservare la vita, non avrebbe mai conferito ad una forma vivente la capacità di soffrire senza donargli anche quella che gli consentisse di sottrarsi a tale miseria, lottando contro chi le attacca ad esempio, oppure sfuggendo alle attenzioni nefaste dei suoi assalitori mettendosi al riparo o in fuga non appena divenga manifesta la minaccia o l’esperienza del dolore che questa provoca.
3_Dal punto di vista più pratico nessuno tra noi ha mai testimoniato un Sedano ribelle al suo destino o un Peperone che a gran salti sfugge dalla padella, questo non è certo il caso per gli oltre cinquanta miliardi di animali negli allevamenti mondiali che subiscono uccisioni meticolosamente programmate ed eseguite a livello industriale nei mattatoi.
Concludiamo ricordando che l’ottanta per cento di tutto il prodotto agricolo attualmente generato dall’agricoltura moderna viene destinato agli animali cosiddetti “da reddito” prigionieri dell’uomo.
Cibandosi dei loro corpi nell’opulento occidente del mondo, si sostiene non solo il Sistema che li ha ridotti in schiavitù, ma anche l’endemico problema della scarsezza delle risorse per sfamare adeguatamente tutti gli altri esseri umani di questo mondo che, come noi, hanno bisogno di cibo per sopravvivere
https://associazionedideeonlus.wordpress.com/2013/07/23/piu-carne-mangiamo-meno-persone-mangiano/
In quanto Vegani ci rendiamo conto che valori quali il Rispetto e la Considerazione, valori i quali mettiamo davanti ad una più tradizionale e radicalmente affermata attitudine di diniego rappresentano una sorta di “verità sconveniente” per gli onnivori umani di questo mondo.
E’ infatti più semplice e rapido fregarsene di chi soffre, di chi paga le conseguenze delle nostre azioni e continuare rimpinzarsi comunque di tutto e di tutti, senza distinzione, senza pensare alle vittime senzienti di questa fatale equazione.
Noi ci “limitiamo” a divulgare in maniera informata un messaggio di amore e di empatia verso TUTTI gli altri individui senzienti.
Il valore aggiunto di tale pensiero è quello rappresentato dalla possibilità che, a cascata, si riesca a liberarci dalle peggiori forme di ingiustizia e di oppressione che (s)qualificano le relazioni umane riducendole al cieco, acritico dominio del forte sul debole.
Le argomentazioni relative “all’uccisione delle piante” non contraddicono quindi la pretesa dei Vegani di “salvare vite” ( di animali senzienti umani e non ) attraverso le loro scelte quotidiane, ma le consolidano grandemente dotandole di ulteriori attributi.